RELIGIONI NEL MONDO - PRIMA INFORMAZIONE
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RISPETTARE ED ESSERE RISPETTATI NELLA LIBERTÀ RELIGIOSA
Il Concilio Vaticano II ha dedicato alla libertà religiosa un suo documento, la dichiarazione Dignitatis humanae, mentre documenti precedenti del magistero avevano da essa messo in guardia i fedeli. Tale cambiamento è venuto dal fatto che questo termine un tempo mascherava la lotta contro la religione, oggi invece riconosce all’uomo il diritto di esprimersi religiosamente.
Davanti però a tale argomento si pone l’interrogativo: fino a che punto uno va rispettato nella libertà religiosa? Anche quando porta danno altrui o crea disordini sociali?
- Fondamento della libertà religiosa
Il principio della libertà religiosa è il fondamento di ogni rapporto ecumenico, nel quale i credenti si aiutano a credere di più, senza voler minimamente aggirare la buona fede altrui. La libertà religiosa infatti, secondo la dichiarazione Dignitatis humanae, si radica non sulla verità, ma sulla ricerca che ogni uomo ha diritto di fare della verità. Al n. 3 si afferma: “Ognuno ha il dovere e quindi il diritto di cercare la verità in materia religiosa, utilizzando i mezzi idonei per formarsi giudizi di coscienza retti e veri secondo prudenza (...). Si fa ingiuria alla persona e allo stesso ordine stabilito da Dio agli esseri umani, se si nega ad essi il libero esercizio della religione nella società, una volta rispettato l’ordine pubblico informato a giustizia”.
Nella citazione riportata ci sono tutti gli elementi che ci interessano: c’è il dovere soggettivo di ricercare la verità; il diritto di essere rispettati nella ricerca e nelle manifestazioni esterne della verità posseduta; il dovere per l’autorità di salvaguardare sempre l’ordine pubblico informato a giustizia. Come si vede, il punto di partenza è il rispetto dell’uomo che è fatto ad immagine di Dio e la certezza che la verità si afferma da sola, se ricercata con sincerità. A nulla vale infatti costringere uno a credere; semmai il compito è quello di aiutarlo nella ricerca della verità.
Da questo principio deriva il secondo: ogni uomo ed ogni comunità vanno rispettati nelle manifestazioni esterne della propria fede. Pensare al contrario significherebbe considerare la religione una ideologia e non una vita pratica e ridurla a culto privato, senza considerare che essa è vita individuale e sociale. Anche il diritto internazionale oggi stabilisce che gli Stati non solo devono rispettare le credenze dei cittadini, ma anche permettere loro di organizzarsi e di esprimere pubblicamente la propria fede. Questo significa offrire loro la possibilità di organizzarsi, di attuare iniziative di catechesi e di carità, avere propri giornali e cose simili. È significativo al riguardo che la dichiarazione conciliare abbia come sottotitolo “diritto della persona e delle comunità alla libertà sociale e civile in materia religiosa”.
- Limiti alla libertà
Abbiamo già affermato come la libertà, che uno deve poter godere, non lo esoneri personalmente dal dovere di ricercare la verità. Non è la libertà di cui parliamo quella banalizzata dall’espressione “sono libero di fare quello che voglio”, perché essa è sempre in funzione del dovere morale della persona di ricercare la verità.
L’interrogativo però posto dalla dichiarazione Dignitatis humanae è se in alcuni casi lo stato e le comunità possano limitare la presunta libertà religiosa di alcuni. Il Concilio chiaramente afferma che quando, in nome della propria libertà religiosa, si viola la libertà altrui provocando disordini, violando i diritti della persona, creando indebite situazioni di paura e cose simili, si deve intervenire per difendere coloro che vengono sopraffatti.
Il Concilio tuttavia, per paura che di questa situazione gli Stati abusino, afferma: “Nella società va rispettata la norma secondo la quale agli esseri umani va riconosciuta la libertà più ampia possibile, e la loro libertà non deve essere limitata se non quando e in quanto è necessario”.
- Aggressione delle sétte
La libertà religiosa, come si vede, è alla base del dialogo ecumenico, in quanto, come dice un documento delle Nazioni Unite (1982), tende ad assicurare alle comunità religiose la possibilità di esprimersi senza la paura di subire discriminazioni.
Sorge però anche la possibilità di abusare della propria libertà religiosa. Ciò avviene in alcuni atteggiamenti di alcune nuove chiese o nuovi movimenti religiosi, più comunemente chiamati “sétte”. Non vogliamo assolutamente generalizzare il discorso, trattandosi per lo più di fatti particolari, comunque detestabili.
Si può violare la libertà religiosa altrui quando il proselitismo si avvale di tecniche di pressione o addirittura della manipolazione psicologica; quando si creano artificiosamente stati di paura con la minaccia di una imminente fine cosmica e quando si specula economicamente su alcune persone con motivi religiosi; quando si crea una mistica protettiva del piccolo gruppo, provocando la regressione psicologica degli aderenti; quando infine si strumentalizzano, con traduzioni arbitrarie, i testi sacri delle religioni antiche. In questi casi, pur conservando il rispetto per la libertà religiosa altrui, è doveroso difendersi e difendere i propri figli.
A parte queste situazioni, la libertà religiosa rimane un grande valore, sul quale è necessario riflettere e al quale è doveroso educarci, perché ci aiuta a passare, nel pluralismo religioso nel quale ci troviamo a vivere, dalla difesa paurosa o dalla benevola tolleranza al dialogo ecumenico, inteso come aiuto reciproco nella ricerca di ciò che il Signore vuole da noi.
(G. Dal Ferro)